Laboratorio di storia di Rovereto
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Don Carlo Bracchetti. Diario d'esilio Braunau am Inn 1915-1919, copertina volume
Don Carlo Bracchetti. Diario d'esilio
Braunau am Inn 1915-1919
OsirideRovereto (TN) 2016
ISBN: 9788874982714

Il Diario d’esilio di don Carlo Bracchetti, noto e utilizzato a stralci dagli storici che si sono occupati dell'esilio della gente trentina nella Grande Guerra, è ora pubblicato nella sua interezza. Si presenta come un documento di eccezionale valore, perché racconta dall'interno la cronaca quotidiana della “città di legno” di Braunau, dalla progettazione alla realizzazione di baracche di civile abitazione ed edifici pubblici, all'organizzazione dei servizi, agli avvenimenti religiosi e civili che hanno riguardato e coinvolto la comunità.

Nei primi cinque mesi d'espatrio don Bracchetti, direttore del convitto magistrale di Sacco, trovò alloggio in una casa privata nel paese di Braunau, da dove si prodigò per ottenere una sistemazione abitativa, un sussidio, un lavoro a molti compaesani; con riferimento a questa intensa attività sociale don Luigi Galli, in una nota al vescovado di Trento, scrisse di sé e del nostro: “Siamo due sacerdoti la cui opera è montare le scale di queste autorità per aiutare i fuggiaschi del distretto. Grazie a Dio, molti ci aiutano”.

Nel mese di dicembre, pronte le prime baracche, entrò nel campo profughi, allestito lontano dal centro abitato. Per un accordo tra sacerdoti e, in parte, per sua scelta, don Bracchetti si prese cura dei pazienti dell'ospedale, che occupava una decina delle baracche del lager; a loro dedicò tutta la sua permanenza e con gli ammalati nel gennaio del 1919, sull'ultimo convoglio per il Trentino, lasciò l'Austria.
La condivisione degli spazi, delle difficoltà materiali e psicologiche, la partecipazione alla vita della comunità rendono questo diario espressione non solo del singolo, ma dell'intero gruppo, mostrandoci l'estenuante altalena di speranze e delusioni sulle possibilità del tanto desiderato rientro in patria, legato, per molte comunità, all'evoluzione del conflitto e, per tutte le altre, alla conclusione delle ostilità.

L'alternarsi degli spiragli di luce e delle tenebre più fitte è determinato dalle notizie sull'andamento della guerra apparse sui giornali viennesi, presenti in modo irregolare nella città di legno: “L'eco del litorale”, foglio d'informazione in lingua italiana, e quello in lingua tedesca “Neuste Nachrichten”. A disorientare ulteriormente, contribuiscono le voci, talvolta prive di fondamento, che l'autore definisce “dicerie”.

Il diario è innanzitutto un'agenda di lavoro dove il sacerdote annota quotidianamente l'espletamento doveroso dell'attività pastorale e liturgica, incluse le celebrazioni patriottiche. Questo aspetto non sarà mai trascurato, ma con il tempo occuperà meno spazio e si ridurrà a poche parole.

Nella cronaca quotidiana vengono registrati gli incontri con conoscenti in visita o di passaggio, sacerdoti e prelati, parenti, politici, compaesani con notizie dell'amata Val Lagarina (dovuta lasciare “con non poca trepidazione” e “in fretta”), arrivi e partenze di singoli e di gruppi, malattie e decessi.

Segna di frequente anche le condizioni climatiche e meteorologiche, tanto importanti in una “città di legno”, riportando la misurazione della temperatura in gradi Reaumur e centigradi.
Nel primo quaderno, quasi taccuino di viaggio, l'autore descrive con curiosità i paesaggi, le consuetudini diverse alle quali riserva uno spazio dal titolo Usi, che commenta sotto la voce Considerazioni. Poi il ritmo cambia, si fa più veloce, la novità non è più tale, il passaggio diventa permanenza, diminuisce il tempo dedicato alla scrittura che è sempre più concisa, le parole abbreviate, evitate le considerazioni. Frequente, a registrazione della giornata, la sola scritta: “Sempre le stesse miserie e infamie”.
Questa accelerazione della narrazione è evidente nella distribuzione delle note giornaliere nel diario: nel primo libro, di 48 pagine, sono annotate cento giornate, nell'ultimo, di 46 pagine, ce ne sono quattrocentosessantasette.

La prosa è in genere asciutta e oggettiva, apparentemente scevra di valutazioni; tuttavia l'autore ricorre talvolta all'uso di locuzioni latine o alla citazione di salmi della liturgia cattolica, a commento dei fatti di cui è testimone, quasi a spersonalizzare il giudizio.
Se d'abitudine si astiene dal commentare le azioni o le vicende della gente comune, al contrario muove severe critiche ai responsabili della gestione del lager e dell'ospedale.
Su questi rilievi si registrano i numerosi interventi censori, operati in modi e tempi differenti, e forse anche da mani diverse, per celare i destinatari del biasimo.
La censura più drastica, con abrasione della scrittura, è fatta  con tutta probabilità dall'autore stesso, che apporta, dopo la rimozione, piccole correzioni per la coerenza della frase; ciò che si riesce a leggere, nonostante la cancellatura, riguarda l'espressione dei sentimenti di fedeltà all'Impero e il rancore per il tradimento del Regno d'Italia, causa delle indicibili sofferenze dell'esilio.
Irrecuperabili invece le giornate cadute sotto i colpi di forbice: la prima è il 25 novembre del 1915 correlata forse alle notizie sulla stampa di bombardamenti italiani sui paesi della Val Lagarina e agli aspri combattimenti sul Col di Lana; la seconda il 30 maggio 1916 e l'ultima il 15 luglio dello stesso anno registravano un suo patriottico commento alla pubblicazione dell'arresto ed esecuzione degli irredentisti Damiano Chiesa e, successivamente, Cesare Battisti e Fabio Filzi.
A conferma di questa ipotesi, le parole “Filzi candidato di avvocatura” risparmiate dal taglio di pagina 23 (15 luglio).

Nell'ultimo anno di guerra, di fronte all'aggravarsi di privazioni e patimenti “che se non vi si pone fine al flagello, si muore di fame”, don Bracchetti ricorre spesso all'invocazione a Dio per la conclusione della guerra e per l'agognato ritorno “in Tirolo”, ma il pessimismo e l'abbattimento trapelano dall'incredulità di una soluzione tanto attesa e sempre procrastinata.
Giunto finalmente il momento dell'addio al campo di Braunau, così annota: “Coll’aiuto dei militari italiani si trasportarono tutti gli ammalati. Un treno lunghissimo, quando tutto era pronto, andai ancora una volta all’Ospitale delle Baracche. Tutto vuoto, silenzio sepolcrale. Ringraziai di cuore Iddio della grazia della partenza e pregai pei defunti che lasciammo nel Campo Santo. Erano più di quattrocento.”

Il diario termina con un meticoloso bilancio dell'opera pastorale svolta a ricordare, a se stesso e ad eventuali lettori, l'impegno profuso ad “aiutare e consolare sia spiritualmente che materialmente tanti poveri profughi.”